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Cittadinanza italiana e immigrazione
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Tutti i cittadini stranieri che intendono fare ingresso in Italia, devono presentare alle frontiere la documentazione che comprovi la motivazione e la durata del soggiorno previsto nonché, nei casi previsti, la disponibilità di adeguati mezzi finanziari e le condizioni di alloggio. In taluni casi dovranno essere muniti anche di visto, da richiedere presso le rappresentanze Diplomatiche e Consolari Italiane nel Paese di residenza.
Il visto, applicato sul passaporto o su altro valido documento di viaggio del richiedente, è una autorizzazione concessa allo straniero per l’ingresso nel territorio della Repubblica Italiana o in quello delle altre Parti contraenti per transito o per soggiorno, allo scopo di garantire il buon andamento delle relazioni internazionali, la tutela della sicurezza nazionale e dell’ordine pubblico.
Il visto rilasciato dalle Rappresentanze italiane all’estero consente l’accesso, per transito o per breve soggiorno (fino a 90 giorni), sia in Italia che negli altri Paesi che applicano la Convenzione di Schengen, e assume la denominazione di “Visto Schengen Uniforme” (VSU). Analogamente, il VSU rilasciato dalle Rappresentanze diplomatico-consolari degli altri Paesi che applicano la Convenzione, consente l’accesso anche al territorio italiano.
Il visto d’ingresso per lungo soggiorno (superiore a 90 giorni) assume la denominazione di “Visto Nazionale” (VN) e consente l’accesso per soggiorni di lunga durata nel territorio dello Stato che ha rilasciato il visto e, purché in corso di validità, consente la libera circolazione per un periodo non superiore a 90 giorni per semestre nel territorio degli altri Stati membri.
Il visto può essere richiesto dallo straniero che abbia più di 18 anni o, per i minori, da un maggiorenne con l’assenso di entrambi i genitori esercenti la potestà. La domanda va presentata per iscritto unitamente, a seconda del tipo di visto richiesto, alla documentazione giustificativa. In ogni caso occorrerà attestare obbligatoriamente le finalità del viaggio, i documenti di viaggio su cui apporre il visto, mezzi di trasporto e di ritorno, mezzi di sostentamento e condizioni di alloggio.
Il decreto 25 luglio 1998 n. 286 ha introdotto nell’ordinamento italiano il principio della motivazione del diniego del rilascio del visto di ingresso e della possibilità impugnazione. Contro il diniego del visto lo straniero residente all’estero può proporre ricorso giurisdizionale davanti al Tribunale amministrativo regionale del Lazio entro 60 giorni dalla notifica del provvedimento.
Solo nel caso di dinieghi di visto per ricongiungimento familiare o familiare al seguito, gli eventuali ricorsi potranno essere presentati presso il Tribunale ordinario competente senza limiti di tempo.
Paesi i cui Cittadini hanno bisogno del Visto per attraversare la frontiera
Sono soggetti ad obbligo di visto i cittadini dei seguenti paesi muniti di passaporto ordinario: Afghanistan, Algeria, Angola, Arabia Saudita, Armenia, Autorità Palestinese, Azerbaijan, Bahrein, Bangladesh, Belize, Benin, Bhutan, Bielorussia, Bolivia, Botswana, Burkina Faso, Burundi, Cambogia, Camerun, Capo Verde, Centrafrica, Ciad, Cina, Colombia, Comore, Congo, Congo (Repubblica Democratica), Corea del Nord, Costa d’Avorio, Cuba, Dominica, Dominicana (Repubblica), Ecuador, Egitto, Emirati Arabi Uniti, Eritrea, Etiopia, Fiji, Filippine, Gabon, Gambia, Georgia, Ghana, Giamaica, Gibuti, Giordania, Grenada, Guinea, Guinea Bissau, Guinea Equatoriale, Guyana, Haiti, India, Indonesia, Iran, Iraq, Kazakistan, Kenia, Kirghizistan, Kiribati, Kosovo, Kuwait, Laos, Lesotho, Libano, Liberia, Libia, Madagascar, Malawi, Maldive, Mali, Marocco, Marshall, Mauritania, Micronesia, Myanmar, Moldova, Mongolia, Mozambico, Namibia, Nauru, Nepal, Niger, Nigeria, Oman, Pakistan, Palau, Papua-Nuova Guinea, Perù, Qatar, Ruanda, Russia, Saint Lucia, Saint Vincent e Grenadine, Salomone, Samoa Occidentali, Sao Tomé e Principe, Senegal, Sierra Leone, Siria, Somalia, Sri Lanka, Sud Africa, Sudan, Suriname, Swaziland, Tagikistan, Tanzania, Thailandia, Timor Orientale, Togo, Tonga, Trinidad e Tobago, Tunisia, Turchia, Turkmenistan, Tuvalu, Ucraina, Uganda, Uzbekistan, Vanuatu, Vietnam, Yemen, Zambia, Zimbabwe.
Paesi i cui cittadini sono esenti da visto per brevi soggiorni
I cittadini dei seguenti Paesi sono invece esenti dall’obbligo di visto d’ingresso per soggiorni di durata massima di 90 giorni, per turismo, missione, affari, invito, gara sportiva e studio: Albania, Andorra, Antigua e Barbuda, Argentina, Australia, Bahamas, Barbados, Bosnia-Erzegovina, Brasile, Brunei, Canada, Cile, Corea del Sud, Costa Rica, Croazia, El Salvador, Ex-Repubblica Iugoslava di Macedonia (FYROM), Giappone, Guatemala, Honduras, Hong Kong, Israele, Malesia, Macao, Marianne del Nord, Mauritius, Messico, Monaco, Montenegro, Nicaragua, Nuova Zelanda, Panama, Paraguay, Saint Kitts e Nevis, Serbia, Seychelles, Singapore, Stati Uniti, Taiwan (entità territoriale non riconosciuta), Uruguay, Venezuela. Per i cittadini di Taiwan l’esenzione dall’obbligo del visto si applica esclusivamente ai titolari di passaporti comprensivi del numero di carta d’identità. Per i cittadini di Albania, Bosnia-Erzegovina, Ex Repubblica Jugoslava di Macedonia, Montenegro, Serbia l’esenzione dall’obbligo del visto si applica esclusivamente ai titolari di passaporti biometrici. I cittadini serbi titolari di passaporto rilasciati dalla Direzione di coordinamento serba sono esclusi dal beneficio dell’esenzione dal visto. I cittadini di SAN MARINO, SANTA SEDE e SVIZZERA sono esenti dall’obbligo di visto in qualunque caso.
Gli stranieri che intendono soggiornare in Italia per più di tre mesi, devono richiedere il permesso di soggiorno entro il termine di 8 giorni dall’arrivo in Italia.
Chi è già in Italia e ha il permesso di soggiorno in scadenza, deve chiedere il rinnovo almeno 60 giorni prima della scadenza. La validità del permesso di soggiorno è la stessa del visto d’ingresso:
fino a sei mesi per lavoro stagionale e fino a nove mesi per lavoro stagionale nei settori che richiedono tale estensione;
fino ad un anno, per la frequenza di un corso per studio o formazione professionale ovviamente documentato;
fino a due anni per lavoro autonomo, per lavoro subordinato a tempo indeterminato e per ricongiungimenti familiari.
Gli stranieri che vengono in Italia per visite, affari, turismo e studio per periodi non superiori ai tre mesi, non devono chiedere il permesso di soggiorno.
I cittadini italiani o stranieri che posseggono un titolo accademico straniero – conseguito a seguito di studi ed esami svoltisi all’estero presso Università statali o legalmente riconosciute – e che intendano chiedere in Italia il riconoscimento del proprio curriculum di studio al fine di conseguire un analogo titolo accademico italiano, possono avanzare richiesta in tal senso presso una Università di loro scelta.
La documentazione da allegare alla domanda, da indirizzarsi al Rettore dell’Università Italiana prescelta con corso di studio compatibile con quello completato all’estero, va presentata personalmente presso presso le Sedi diplomatiche; nulla esclude però la possibilità di concordare eventuali diverse modalità di inoltro della documentazione ai fini del riconoscimento.
I cittadini italiani, i cittadini comunitari, nonché i cittadini extra comunitari regolarmente soggiornanti in Italia di cui all’art. 26 della Legge 30.7.2002 n. 189, possono presentare personalmente la domanda allo sportello della segreteria della Università prescelta entro la data a stabilita dal singolo Ateneo, purché i titoli siano già provvisti degli atti di competenza della Rappresentanza italiana.
I cittadini extra-comunitari residenti all’estero sono tenuti ad inviare la domanda, corredata di tutta la documentazione prevista, tramite la Rappresentanza Diplomatico-Consolare italiana nel loro Paese o nel Paese straniero di ultima residenza, alla quale detti documenti dovranno pervenire entro i termini stabiliti annualmente dalle disposizioni MIUR relative alle immatricolazioni di studenti stranieri.
Gli interessati dovranno presentare i documenti di studio già legalizzati dalle competenti Autorità del Paese di appartenenza, attraverso l’apposizione dell’”Apostille” nonché i documenti di copertura economica ed assicurativa previsti dalle predette Disposizioni per le iscrizioni universitarie. La Rappresentanza italiana provvede alle verifiche ed agli atti di sua competenza ed all’inoltro della documentata domanda all’Università indicata dall’interessato.
Sulla richiesta deliberano le Autorità Accademiche, caso per caso, tenendo conto degli studi e degli esami sostenuti all’estero.
Per quanto riguarda le domande di riconoscimento accademico di titoli relativi all’area sanitaria, va menzionato il disposto dell’articolo 50, comma 8, del DPR. n.394 del 31.8.1999 (regolamento applicativo del T.U. sull’immigrazione e sulla condizione dello straniero di cui al D.L. 25.07.1998 n°286). Il citato comma prevede quanto segue: “La dichiarazione di equipollenza dei titoli accademici nelle discipline sanitarie, conseguiti all’estero, nonché l’ammissione ai corrispondenti esami di diploma, di laurea o di abilitazione, con dispensa totale o parziale degli esami di profitto, sono disposte previo accertamento del rispetto delle quote previste per ciascuna professione dall’ art.3, comma 4, del testo unico, a tal fine deve essere acquisito il preventivo parere del Ministero della Salute, il parere negativo non consente l’iscrizione agli albi professionali o agli elenchi speciali per l’esercizio delle relative professioni sul territorio nazionale e dei Paesi dell’Unione Europea”.
I termini del procedimento per il Riconoscimento dell’equipollenza sono stati fissati dal D.M. n.190 del 6 Aprile 1995, in 180 giorni. In ogni caso l’interessato può presentare ricorso giurisdizionale al TAR o Ricorso straordinario al Capo dello Stato.
Per quanto concerne le procedure di equipollenza di titoli di studi pre-universitari sono competenti gli Uffici Scolastici Provinciali, mentre per i dottorati di ricerca è competente il Ministero dell’Università, Istruzione e Ricerca. Occorre però precisare che in tali casi l’equipollenza può essere richiesta solo da cittadini italiani o comunitari.
Alternativamente all’equipollenza accademica o scolastica i titoli di studio esteri possono essere riconosciuti ai fini professionali. Questo tipo di procedura non assimila il titolo estero ad un corrispondente titolo dell’ordinamento italiano ma consente al richiedente di ottenere un titolo professionale abilitante all’esercizio della professione in Italia.
La procedura dovrà concludersi nel tempo massimo di 120 giorni ed in caso di esito positivo il titolo abilita all’esercizio della professione e, se previsto, consente l’accesso all’albo professionale corrispondente.
I cittadini comunitari in possesso di un titolo di studio di scuola media superiore o di un titolo professionale conseguito all’estero, qualora intendano partecipare ad un pubblico concorso, possono richiedere alla Presidenza del Consiglio, Dipartimento pubblica funzione, in accordo con il Ministero dell’Università Istruzione e Ricerca, l’equipollenza del titolo ai soli fini concorsuali, senza necessità di ottenere l’equipollenza accademica o scolastica. L’equipollenza, in caso di esito positivo, viene riconosciuta nel giro di qualche mese, con decreto del Presidente del Consiglio dei Ministri e ha validità esclusivamente per il bando di concorso per cui viene rilasciata. Il Decreto Legislativo 165/2001, art.38, prevede infatti che, “nei casi in cui non sia intervenuta una disciplina di livello comunitario, all’equiparazione dei titoli di studio e professionali si provvede con decreto del Presidente del Consiglio dei Ministri, adottato su proposta dei Ministri competenti. Con eguale procedura si stabilisce l’equivalenza tra i titoli accademici e di servizio rilevanti ai fini dell’ammissione al concorso e della nomina.”
Serve assistenza?Il decreto legislativo 8 gennaio 2007 n. 3 di attuazione della direttiva 2003/109/CE ha sostituito la carta di soggiorno per cittadini stranieri con il permesso di soggiorno CE per soggiornanti di lungo periodo (SLP).
Questo tipo permesso di soggiorno è a tempo indeterminato e può essere richiesto solo da chi possiede un permesso di soggiorno da almeno 5 anni e non sia considerato pericoloso per l’ordine pubblico e la sicurezza dello Stato. Il permesso può essere richiesto per sé stessi nonché per ciascuno dei familiari per i quali si potrebbe richiedere il ricongiungimento familiare. La richiesta può riguardare anche il familiare che si ricongiunga con una straniero già titolare di permesso SLP. Dal 9 dicembre 2010 è in funzione il sistema informatico di gestione delle domande per la partecipazione al test di conoscenza della lingua italiana che dovranno sostenere gli stranieri che intendono richiedere il permesso di soggiorno CE per soggiornanti di lungo periodo.
La richiesta può essere presentata anche per il coniuge non legalmente separato e di età non inferiore ai diciotto anni; figli minori, anche del coniuge o nati fuori dal matrimonio, figli maggiorenni a carico che non possano permanentemente provvedere alle proprie indispensabili esigenze di vita in ragione del loro stato di salute che comporti invalidità totale; genitori a carico.
Per ottenere il permesso CE anche per i familiari, oltre ai documenti espressamente richiesti dalla legislazione italiana , è necessario:
avere un reddito sufficiente alla composizione del nucleo familiare. Nel caso di due o più figli, di età inferiore ai 14 anni, il reddito minimo deve essere pari al doppio dell’importo annuo dell’assegno sociale;
avere la certificazione anagrafica che attesti il rapporto familiare. La documentazione proveniente dall’estero dovrà essere tradotta, legalizzata e validata dall’autorità consolare nel Paese di appartenenza o di stabile residenza dello straniero;
il superamento di un test di conoscenza della lingua italiana.
In relazione a quest’ultimo requisito va difatti specificato che il giorno 9 dicembre 2010 è entrato in vigore il Decreto del Ministro dell’Interno d’intesa con il Ministro dell’Istruzione, dell’Università e della Ricerca, del 4 giugno 2010, recante le “Modalità di svolgimento dei test di conoscenza della lingua italiana”. Lo stesso decreto ha attribuito alle Prefetture – Uffici Territoriali del Governo le competenze relative alla ricezione delle richieste di svolgimento del test, alla convocazione dello straniero presso le sedi individuate ed alla acquisizione dell’esito ai fini della comunicazione alla Questura. Il Dipartimento per le Libertà Civili e l’Immigrazione ha predisposto un sistema informatico, di supporto alle Prefetture, che consente di ricevere le richieste degli stranieri, di organizzare lo svolgimento del test e di acquisirne gli esiti. Tali attività sono dettagliatamente descritte dalla circolare n. 7589, diramata dal medesimo Dipartimento, il 16 novembre 2010.
Sono esclusi dall’obbligo di sostenere il test, i figli minori di anni 14, anche nati fuori dal matrimonio, propri e del coniuge. Non è necessario effettuare il test della lingua italiana, qualora lo straniero sia in possesso di:
a) attestati o titoli che certifichino la conoscenza della lingua italiana ad un livello non inferiore al livello A2 del Quadro comune di riferimento europeo per la conoscenza delle lingue approvato dal Consiglio d’Europa, rilasciato dagli enti certificatori riconosciuti dal Ministero degli Affari Esteri e da quello dell’Istruzione, dell’Università e della Ricerca: Università degli Studi Roma Tre, Università per Stranieri di Perugia, Università per Stranieri di Siena e Università Dante Alighieri;
b) titoli di studio o titoli professionali (diploma di scuola secondaria italiana di primo o secondo grado, oppure certificati di frequenza relativi a corsi universitari, master o dottorati);
c) riconoscimento del livello di conoscenza della lingua italiana non inferiore al livello A2;
d) attestazione che l’ingresso in Italia è avvenuto ai sensi dell’art. 27, co. 1 lett. a), c), d), q) del decreto legislativo 286/98 e successive modificazioni;
e) certificazione, rilasciata da una struttura sanitaria pubblica, nella quale sia dichiarato che lo straniero è affetto da gravi limitazioni alla capacità di apprendimento linguistico derivanti dall’età, da patologie o handicap.
Con il permesso di soggiorno CE è possibile:
entrare in Italia senza visto;
svolgere attività lavorativa;
usufruire dei servizi e delle prestazioni erogate dalla pubblica amministrazione;
partecipare alla vita pubblica locale.
Lo straniero titolare di un permesso di soggiorno CE, rilasciato da altro Stato membro, può rimanere in Italia oltre i 3 mesi, per:
- esercitare un’attività economica come lavoratore regolare;
- frequentare corsi di studio o di formazione professionale;
- soggiornare, dimostrando di avere sufficienti mezzi di sostentamento (reddito superiore al doppio dell’importo minimo previsto per l’esenzione della spesa sanitaria) e stipulando un’assicurazione sanitaria per l’intero periodo del soggiorno. In questo caso lo straniero titolare ottiene un permesso di soggiorno rinnovabile alla scadenza, mentre ai familiari verrà rilasciato un permesso di soggiorno per motivi di famiglia.
Non è possibile richiedere il permesso di soggiorno CE nei seguenti casi:
- per motivi di studio o formazione professionale e ricerca scientifica;
- per soggiorni a titolo di protezione temporanea o per motivi umanitari;
- per asilo o in attesa del riconoscimento dello status di rifugiato;
- per possesso di un permesso di soggiorno di breve durata;
- ai diplomatici, i consoli, i soggetti che godono di funzioni equiparate e i membri di rappresentanze accreditate presso organizzazioni internazionali di carattere universale.
Il permesso di soggiorno CE è revocato:
- se acquisito fraudolentemente;
- in caso di espulsione;
- quando vengono a mancare le condizioni per il rilascio;
- in caso di assenza dal territorio dell’Unione per un periodo di 12 mesi consecutivi;
- in caso di ottenimento di un permesso di soggiorno di lungo periodo da parte di un altro Stato membro dell’Unione europea;
- in caso di assenza dal territorio dello Stato per un periodo superiore a 6 anni.
- Contro il rifiuto e la revoca del permesso SLP è ammesso ricorso al TAR o al giudice ordinario per motivi familiari.
Contro il rifiuto e la revoca del permesso SLP è ammesso ricorso al TAR o al giudice ordinario per motivi familiari
Serve assistenza?I minori stranieri, anche se entrati clandestinamente in Italia, sono titolari di tutti i diritti garantiti dalla Convenzione di New York sui diritti del fanciullo del 1989. L’organo costituito dalla legge per vigilare sulle modalità di soggiorno dei minori stranieri temporaneamente ammessi sul territorio dello Stato e di coordinare le attività delle amministrazioni interessate, é il Comitato per i minori stranieri, incardinato presso il Ministero della Solidarietà Sociale.
I minori presenti in Italia possono essere:
• “accompagnati”, minori affidati con provvedimento formale a parenti entro il terzo grado e regolarmente soggiornanti;
• “non accompagnati”, minori che si trovano in Italia privi dei genitori o di altri adulti legalmente responsabili della loro assistenza o rappresentanza.
I minori tanto se accompagnati tanto se non accompagnati hanno diritto all’ ISTRUZIONE. Tutti i minori stranieri, anche se privi di permesso di soggiorno, hanno il diritto di essere iscritti a scuola di ogni ordine e grado (non solo quella dell’obbligo). L’iscrizione dei minori stranieri avviene nei modi e alle condizioni previsti per i minori italiani, e può essere richiesta in qualunque periodo dell’anno. I minori soggetti all’obbligo scolastico vengono iscritti, a cura dei genitori o di chi ne esercita la tutela, alla classe corrispondente all’età anagrafica, salvo che il collegio dei docenti deliberi l’iscrizione ad una classe diversa, tenendo conto dell’ ordinamento degli studi del Paese di provenienza, delle competenze, abilità e livelli di preparazione dell’alunno, del corso di studi eventualmente seguito nel Paese di provenienza, del titolo di studio eventualmente posseduto dall’alunno.
I minori hanno altresì diritto all’ASSISTENZA SANITARIA. I minori stranieri titolari di un permesso di soggiorno (per minore età, per affidamento, per motivi familiari, per protezione sociale, per richiesta di asilo) devono essere obbligatoriamente iscritti, da chi ne esercita la tutela, al Servizio Sanitario Nazionale (S.S.N.) e quindi hanno pienamente diritto di accedere a tutte le prestazioni assicurate dal nostro sistema sanitario.
I minori stranieri privi di permesso di soggiorno non possono iscriversi al S.S.N., ma hanno comunque diritto alle cure ambulatoriali ed ospedaliere urgenti o comunque essenziali, ancorché continuative, a quelle per malattia ed infortunio e ai programmi di medicina preventiva e gli saranno comunque garantite le prestazioni a tutela sociale della gravidanza e della maternità, quelle a tutela della salute del minore, le vaccinazioni, secondo la normativa e nell’ambito delle campagne di prevenzione collettiva autorizzate dalle Regioni, gli interventi di pro?lassi internazionale, la pro?lassi, la diagnosi e la cura di malattie infettive.
I minori stranieri hanno altresì diritto al LAVORO. Ai minori stranieri si applicano in materia di lavoro le stesse norme che si applicano ai minori italiani (ammissione al lavoro solo dopo il compimento dei 15 anni e avendo assolto all’obbligo scolastico).
Ai minori stranieri “non accompagnati” è riconosciuto inoltre il diritto alla PROTEZIONE E ASSISTENZA. Ai minori stranieri non accompagnati si applicano le norme previste dalla legge italiana in materia di assistenza e protezione dei minori. In particolare si applicano le norme che riguardano il collocamento in luogo sicuro del minore che si trovi in stato di abbandono, l’apertura della tutela per il minore i cui genitori non siano oggettivamente in condizioni di esercitare la potestà genitoriale, l’affidamento del minore, temporaneamente privo di un ambiente familiare idoneo, ad una famiglia o ad una comunità.
L’affidamento può essere disposto al Tribunale per i minorenni (affidamento giudiziale) oppure dai servizi sociali del Comune, nel caso di genitori o di tutore impossibilitati ad esercitare le proprie responsabilità sul minore. In tale circostanza è richiesto il consenso dei genitori o del tutore impossibilitati a provvedere e del Giudice Tutelare che, con proprio provvedimento, rende esecutivo l’affidamento (affidamento consensuale).
Ogni minore straniero non accompagnato deve essere segnalato dall’Autorità che lo rintraccia sul territorio nazionale alla Procura della Repubblica presso il Tribunale per i minorenni, ad eccezione del caso in cui il minore sia accolto da un parente entro il quarto grado idoneo a provvedervi, al Giudice Tutelare, per l’apertura della tutela o al Comitato per i minori stranieri, a meno che non sia stata presentata domanda di asilo.
I minori hanno diritto A NON ESSERE ESPULSI. I minori stranieri non possono essere espulsi, tranne che per motivi di ordine pubblico e sicurezza dello Stato (in tal caso è competente il Tribunale per i minorenni). I minori stranieri non accompagnati possono tuttavia essere rimpatriati attraverso la misura del rimpatrio assistito, misura finalizzata a garantire il diritto all’unità familiare. Il provvedimento è adottato solo se, in seguito a un’indagine specifica, attivata e svolta dal Comitato per i minori stranieri nel Paese d’origine, si ritiene che ciò sia opportuno nell’ interesse del minore. Il rimpatrio assistito è disposto dal Comitato per i minori stranieri e viene eseguito accompagnando il minore al ri-affidamento alla famiglia o alle autorità responsabili del Paese d’origine. A differenza dell’espulsione, il rimpatrio non comporta il divieto di reingresso per 10 anni.
Nel caso in cui ritenga che il rimpatrio non sia nel suo interesse, il minore ha diritto di presentare, per il tramite dei genitori o del tutore, ricorso alla Magistratura (Tribunale ordinario o TAR) per ottenere l’annullamento del provvedimento.
Il minore straniero ha diritto ad ottenere il PERMESSO DI SOGGIORNO. Tutti i minori stranieri non accompagnati hanno diritto di ottenere, per il solo fatto di essere minorenni (e quindi inespellibili), un permesso di soggiorno per minore età. I minori titolari di permesso per minore età possono convertirlo in uno per affidamento nel caso in cui, a seguito del provvedimento di “non luogo a provvedere al rimpatrio” dal Comitato per i minori stranieri, vengono affidati o direttamente con provvedimento del Tribunale per i minorenni o su iniziativa dei Servizi Sociali resa esecutiva dal Giudice Tutelare. Il permesso di soggiorno per affidamento consente al minore straniero di lavorare in tutti quei casi in cui la legge italiana lo permette ai minori in generale e può essere convertito in permesso per studio o lavoro, al compimento dei 18 anni.
I minori affidati ad un cittadino straniero regolarmente soggiornante, che convivono con l’affidatario, vengono iscritti nel permesso di soggiorno del medesimo fino al compimento dei 14 anni e ricevono un permesso di soggiorno per motivi familiari al compimento dei 14 anni.
La domanda di permesso di soggiorno per il minore non accompagnato deve essere presentata da chi esercita i poteri tutelari sul minore e perciò dal tutore se ne è stato nominato uno, dal legale rappresentante dell’istituto o comunità o dall’Ente locale, se il minore è collocato in un istituto o comunità o è comunque assistito dall’ Ente Locale.
Il minore ha diritto A RICHIEDERE ASILO. I minori stranieri non accompagnati per i quali si teme possano subire persecuzioni nel loro Paese, per motivi di razza, religione, nazionalità, appartenenza a un determinato gruppo sociale o per le proprie opinioni politiche, hanno diritto di presentare, tramite il titolare della tutela, domanda di asilo.
La domanda di asilo viene esaminata dalla Commissione Territoriale per il Riconoscimento dello Status di in collaborazione con il Ministero dell’Interno Rifugiato competente. Se viene riconosciuto al minore lo status di rifugiato, questi riceve un permesso per asilo; in caso, invece, di rigetto della domanda di asilo, la Commissione può comunque invitare il Questore a rilasciare un permesso per motivi umanitari, qualora ritenga il rimpatrio del minore pericoloso e comunque inopportuno. Il minore ha comunque diritto, per il tramite dei propri genitori o del proprio tutore, di presentare ricorso al Tribunale ordinario contro la decisione della Commissione.
Al compimento del 18° anno di età la possibilità per il minore di restare in Italia con un regolare permesso di soggiorno, dipende dal tipo di permesso di soggiorno (per affidamento ovvero per motivi familiari) di cui è stato titolare come minore, e da una serie di altre condizioni.
I minori non accompagnati titolari di permesso per affidamento possono convertirlo in uno per studio, accesso al lavoro, lavoro subordinato o autonomo, al compimento dei 18 anni, se sono entrati in Italia da almeno 3 anni, quindi, prima del compimento dei 15 anni, hanno seguito per almeno 2 anni un progetto di integrazione sociale e civile gestito da un ente pubblico o privato che abbia rappresentatività nazionale e sia iscritto negli appositi registri previsti dalla legge, frequentano corsi di studio, o svolgono attività lavorativa retribuita nelle forme e con le modalità previste dalla legge, o sono in possesso di contratto di lavoro anche se non ancora iniziato.
I minori titolari di un permesso per motivi familiari, possono convertirlo in uno per studio o lavoro subordinato o autonomo, al compimento dei 18 anni.
I minori che abbiano commesso un reato per il quale siano stati reclusi prima del compimento della maggiore età, se hanno partecipato a un programma di assistenza e integrazione sociale possono, al termine della espiazione della pena, ottenere un permesso di soggiorno per protezione sociale. Il permesso per protezione sociale può inoltre essere rilasciato dal Questore, su proposta dei servizi sociali del Comune, anche ai minori stranieri nei cui confronti siano state rilevate situazioni di violenza e di grave sfruttamento (prostituzione, sfruttamento lavorativo ecc.), per le quali vi siano concreti pericoli di incolumità. Il permesso per protezione sociale consente di lavorare ed è rinnovabile.
Serve assistenza?La discriminazione è il trattamento non paritario attuato nei confronti di un individuo o un gruppo di individui in virtù della loro appartenenza ad una particolare categoria. Il legislatore agli artt. 43 e 44 del Testo Unico immigrazione ha chiarito, da un lato, cosa si intende per discriminazione e, dall’altro, gli interventi previsti contro gli atti e gli interventi discriminatori. E’ difatti possibile che la persona che subisce discriminazione presenti un ricorso per dimostrare la sussistenza a proprio danno del comportamento discriminatorio ed ottenere dal giudice l’ordine di adozione di misure idonee a rimuovere la discriminazione.
Serve assistenza?L’apolidia, è lo stato dei soggetti privi di qualunque cittadinanza. Tali soggetti sono detti “apolidi”. Si diventa apolidi “per origine” o “per derivazione”:
– si è apolidi per origine quando non si è mai goduto dei diritti e non si è mai stati sottoposti ai doveri di nessuno Stato;
– si diventa apolidi per derivazione a causa di varie ragioni tutte conseguenti alla perdita di una pregressa cittadinanza e alla mancanza di una contestuale acquisizione di una nuova. Le ragioni possono essere: annullamento della cittadinanza da parte dello Stato per ragioni etniche, di sicurezza o altro; perdita di privilegi acquisiti in precedenza (come ad esempio la cittadinanza acquisita per matrimonio); rinuncia volontaria alla cittadinanza.
L’interessato alla dichiarazione di apolidia può ricorrere dinanzi all’ Autorità giudiziaria per vedersi riconosciuto tale status.
L’art. 10 comma 3 della Carta Costituzionale italiana fornisce la definizione di diritto di asilo laddove prevede una tutela per lo straniero che non possa godere nel proprio Paese di garanzie di libertà democratiche quali quelle assicurate per lo stato italiano, alle condizioni stabilite dalla legge: in breve, una persona perseguitata nel suo paese d’origine può essere protetta da un altro paese straniero.
A seguito della Convenzione di Ginevra, al fine di poter garantire un sempre più elevato di protezione e di tutela, sono stati adottati il decreto legislativo del 19 novembre 2007, n.251 ed il decreto legislativo del 28 gennaio 2008, n.25, che recepiscono i principi sanciti dalle due direttive europee in materia di protezione internazionale ovvero la direttiva 2004/83/CE del Consiglio del 29 aprile 2004, (recante norme minime sull’attribuzione, ai cittadini di paesi terzi o apolidi, della qualifica di rifugiato o di persona altrimenti bisognosa di protezione internazionale, nonché norme minime sul contenuto della protezione riconosciuta detta anche direttiva qualifiche) e la direttiva 2005/85/CE del Consiglio del 10 dicembre 2005 (recante norme minime per le procedure applicate negli Stati membri ai fini del riconoscimento e della revoca dello Status di rifugiato riconosciuta detta anche direttiva procedure).
La domanda di asilo e/o protezione internazionale può essere presentata in ogni tempo dallo straniero, anche se ha fatto ingresso in modo irregolare, al fine di chiedere protezione allo stato italiano perché in fuga da persecuzioni, torture o guerre. La domanda va presentata dal cittadino straniero all’ufficio di polizia di frontiera, al momento dell’ingresso in Italia, ovvero direttamente all’Ufficio immigrazione della Questura, allegando la documentazione richiesta.
A seguito dell’entrata in vigore del D.Lgs. 159/2009, recante modifiche ed integrazioni al decreto legislativo n. 25/2008, la domanda può essere rigettata per manifesta infondatezza. Avverso la decisione negativa sulla domanda di protezione internazionale è possibile proporre ricorso giurisdizionale. Il ricorrente ha diritto al gratuito patrocinio a spese dello stato. La sentenza conclusiva del procedimento è impugnabile. E’ possibile proporre ricorso per Cassazione.
Serve assistenza?Il cittadino straniero, titolare del permesso di soggiorno CE per soggiornanti di lungo periodo o di un permesso di soggiorno con durata non inferiore a un anno rilasciato per lavoro subordinato, autonomo, per asilo, per studio, motivi religiosi, motivi familiari e per protezione sussidiaria, può richiedere di essere raggiunto in Italia dai parenti più stretti, per poter tenere unita la sua famiglia. Il ricongiungimento familiare è previsto per il coniuge maggiorenne non legalmente separato, figli minori non coniugati (anche del coniuge o nati fuori del matrimonio), a condizione che l’altro genitore, qualora esistente, abbia dato il suo consenso, figli maggiorenni a carico, qualora per ragioni oggettive non possano provvedere alle proprie indispensabili esigenze di vita in ragione del loro stato di salute che comporti invalidità totale, genitori a carico, qualora non abbiano altri figli nel Paese di origine o di provenienza, ovvero genitori ultra-sessantacinquenni, qualora gli altri figli siano impossibilitati al loro sostentamento per gravi documentati motivi di salute.
Per favorire la coesione e l’unità familiare, qualora lo straniero sia titolare di visto di ingresso per lavoro subordinato, collegato a contratto di durata non inferiore a un anno per lavoro autonomo non occasionale, ovvero per studio o per motivi religiosi, è consentito l’ingresso al seguito degli stessi familiari con i quali è possibile attuare il ricongiungimento.
Se si è in possesso dei requisiti sopra indicati, è possibile presentare domanda di ricongiungimento familiare o per familiari al seguito.
Serve assistenza?In Italia sono due le principali forme di allontanamento di uno straniero dal territorio nazionale: l’espulsione e il respingimento alla frontiera.
L’espulsione può essere di tre tipi:
Amministrativa per motivi di ordine pubblico e sicurezza dello Stato (disposta dal ministero dell’Interno); per ingresso clandestino; per irregolarità del soggiorno; per sospetta irregolarità sociale (disposte dal Prefetto).
Secondo la nuova legge sull’immigrazione, l’espulsione è sempre eseguita dal questore con accompagnamento alla frontiera a mezzo della forza pubblica ed è immediatamente esecutiva, anche se sottoposta a impugnativa da parte dell’interessato. Quando lo straniero è sottoposto a procedimento penale e non si trova in stato di custodia cautelare in carcere, il questore, prima di eseguire l’espulsione, richiede il nulla osta all’autorità giudiziaria. Il nulla osta si intende concesso se l’autorità giudiziaria non risponde entro quindici giorni dalla data di ricevimento della richiesta.
L’espulsione contiene l’intimazione a lasciare il territorio dello Stato entro il termine di quindici giorni nei confronti dello straniero che si è trattenuto nel territorio dello Stato quando il permesso di soggiorno è scaduto da più di sessanta giorni e non ne è stato chiesto il rinnovo. Qualora il prefetto rilevi il concreto pericolo che lo straniero si sottragga all’esecuzione del provvedimento, il questore dispone l’accompagnamento immediato alla frontiera.
Lo straniero espulso non può rientrare nel territorio dello Stato (per un periodo di dieci anni, o comunque non inferiore a cinque anni) senza una speciale autorizzazione del ministro dell’interno. In caso di trasgressione lo straniero è punito con l’arresto da sei mesi ad un anno ed è nuovamente espulso con accompagnamento immediato alla frontiera. Nel caso di espulsione disposta dal giudice, il trasgressore del divieto di reingresso è punito con la reclusione da uno a quattro anni.
Contro il decreto di espulsione amministrativa è possibile ricorrere: a) al TAR del Lazio avverso il decreto di espulsione emanato dal ministro dell’Interno per motivi di ordine pubblico o di sicurezza dello Stato; b) al tribunale ordinario avverso gli altri tipi di decreti di espulsione amministrativa.
A titolo di misura di sicurezza disposta dal Giudice in seguito a condanna penale, sempre che il condannato straniero risulti “socialmente pericoloso”. L’esecuzione dell’espulsione avviene subito dopo la cessazione del periodo di custodia cautelare o di detenzione.
A titolo di sanzione sostitutiva alla detenzione, disposta dal Giudice in sostituzione della pena detentiva non superiore a due anni. In questi casi l’espulsione avviene per un periodo non inferiore ai 5 anni. Il decreto di espulsione viene comunicato allo straniero che, entro dieci giorni, può proporre opposizione dinanzi al tribunale di sorveglianza (tribunale che decide nel termine di venti giorni).
La pena è estinta dopo dieci anni dall’esecuzione dell’espulsione, sempre che lo straniero non sia rientrato illegittimamente nel territorio dello Stato. In tale caso, lo stato di detenzione viene ripristinato e riprende l’esecuzione della pena.
E’ previsto il divieto di espulsione per:
- lo straniero che rischia di essere vittima di persecuzioni per motivi di razza, di sesso, di lingua, di cittadinanza, di religione, di opinioni politiche, di condizioni personali o sociali, oppure possa rischiare di essere rinviato verso un altro Stato nel quale non sia protetto dalla persecuzione;
- gli stranieri minori di 18 anni (a meno che non gli sia consentito di seguire il genitore o l’affidatario espulsi);
- gli stranieri in possesso della carta di soggiorno (salvo casi di particolare gravità);
- gli stranieri che convivono con parenti italiani entro il quarto grado o con il coniuge italiano;
- le donne straniere in stato di gravidanza o nei sei mesi successivi alla nascita del figlio. Inoltre, l’art. 4 del Protocollo Addizionale n. 4 alla Convenzione per la salvaguardia dei diritti dell’uomo e delle libertà fondamentali prevede che siano vietate le espulsioni collettive di stranieri.
Il Respingimento alla frontiera rientra nell’ambito delle più ampie misure di potenziamento e coordinamento dei controlli di frontiera. Può essere disposto nei confronti dello straniero che si presenta alla frontiera privo dei requisiti che consentono l’ ingresso nel territorio italiano oppure che, sottraendosi ai controlli, viene fermato subito dopo l’ingresso. La nuova legge prevede inoltre che possono essere respinti: gli stranieri espulsi, salvo che abbiano ottenuto la speciale autorizzazione o che sia trascorso il periodo di divieto di ingresso; gli stranieri che debbono essere espulsi e quelli segnalati, anche in base ad accordi o convenzioni internazionali in vigore in Italia, ai fini del respingimento o della non ammissione per gravi motivi di ordine pubblico, di sicurezza nazionale e di tutela delle relazioni internazionali.
Il respingimento di uno straniero non può essere attuato verso uno Stato ove possa essere oggetto di persecuzione.
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